Make me perfect

NON MI PIACCIO E MI FACCIO CAMBIARE LA FACCIA!
Make me perfect” , su La 5 il sabato e il martedi indaga su quanto sia psicologicamente sano cambiare il proprio corpo o i lineamenti del viso con la chirurgia estetica. Quanti si trovano insoddisfatti perenni anche dopo ripetuti interventi?

Di Paola Federici

Oggi sembra diventata una moda e solo in alcuni rari casi un reale bisogno, la chirurgia estetica cambia volti, corpi, età, regalando un’immagine di sé fittizia o reale, l’illusione di stare finalmente bene nella propria pelle o l’insoddisfazione continua che va ben oltre all’immagine esteriore e fa ipotizzare uno stato di inquietudine di ben altra entità.
Nella mia professione di psicoterapeuta più volte ho udito mariti che mi raccontavano in seduta di aver “regalato” alla consorte un intervento al seno per il suo compleanno, o una blefaroplastica che “lei desiderava da tempo”. Quale significato inconscio possa assumere agli occhi della moglie un simile regalo appare evidente, ma le mogli – e spesso anche i mariti che la blefaro se la sono già fatta fare prima delle mogli – immerse nell’illusione dell’eterna giovinezza, vivono l’inconsueto regalo come un dono dell’amato che le desidera….ma…le desidera se e solo se…sempre giovani , solo se saranno sempre le belle del reame? Una contraddizione che non molti colgono , incompatibile con l’imperfezione e il deperimento fisico dell’essere umano.
La serie di filmati “Make me perfect”, in onda su La 5 nelle serate di sabato alle ore 00.45 e il martedi alle 00.10, intende mostrare, alcune situazioni ”tipo” nelle quali la richiesta di intervento chirurgico estetico viene affiancata prima da un colloquio con una psicologa, che ha l’obiettivo di far luce sulle motivazioni che hanno condotto la persona a quella scelta. Ovviamente vengono messe in chiaro , se sussistono, le problematiche sottostanti alla richiesta, gli eventuali conflitti d’identità, la mancata accettazione di sé, il tipo di aspettative che la persona instaura con gli altri, che molto spesso sono improntate alla sensazione di inadeguatezza molto pesante e alla difficoltà di sentirsi accettati e amati dagli altri. Ciò che rimane in dubbio è spesso il dopo: cosa accadrà dopo l’intervento? E’ questo il nocciolo della scelta: operarsi o no? Come si starà dopo? Si saranno risolti i propri problemi? O si creerà una sorta di circolo vizioso di interventi estenuanti e insoddisfacenti?
Identità e immagine sociale nel mondo di oggi
La nostra società dell’immagine e della leggerezza dell’essere è una società su misura della gioventù: nei negozi si trovano solo abiti per i giovani, le taglie ormai sono solo “infantili” e richiamano la necessità di mantenersi “affamati” per essere accettati dal mondo, se superi la taglia 38 sei fuori. I viaggi e le offerte di ogni tipo sono per i giovani, nei villaggi vacanza trovi solo trentenni, le animazioni non prevedono gli anta….vai al supermercato e i commessi ti danno del tu anche se non ti hanno mai visto, siamo immersi in questa illusione di gioventù che inebria da un lato, ma conduce su un binario morto quando all’improvviso ti cala la palpebra o il sedere scende irrimediabilmente verso terra. E allora cosa fai, quando giovane non lo sei più? Se non si hanno altri valori interiori, il punteggio è fortemente in discesa e ci si sente “out”. E allora ecco l’ultimo approdo: la chirurgia estetica, capace di farti sognare un limbo perduto.
Sempre più persone cominciano l’iter e si autoregalano piccoli interventi di chirurgia estetica ormai all’ordine del giorno, o sedute botuliniche ogni tre mesi “senza dirlo a nessuno mi raccomando” anche se lo sa il mondo. Sempre più alla portata dei portafogli di massa, i minilifting molto meno invasivi di un tempo, le “punturine”, l’acido ialuronico, il laser per togliere le inestetiche macchie della incipiente vecchiaia che il fondotinta non riesce più a mascherare. E dopo qualche tempo non ci si accontenta più, non resta allora che la strada degli interventi chirurgici, veri e propri status symbol sociali.
L’ipotesi di affiancare degli psicologi ai medici in ogni clinica di chirurgia estetica seria sarebbe l’optimum anche nella realtà, oltre che nella fiction , perché un’ indagine delle motivazioni che conducono alla decisione di un intervento è fondamentale per prevederne la riuscita, non solo fisica, ma anche psicologica. Infatti quanti si rivolgono al medico estetico hanno talvolta valori di riferimento legati soprattutto a un’immagine sociale di perfezione , che potrebbe nascondere problemi di identità profondi, una scarsa autostima e accettazione di sé condizionate all’approvazione altrui . Altre volte sussistono problemi che gli interessati si portano dietro da una vita, e solo casualmente un evento scatenante improvviso puo’ riportare a galla: ad esempio un marito che ha una relazione extraconiugale con una donna più giovane della moglie può far scattare la molla del “rinnovamento” fisico estetico in una moglie poco sicura della propria identità. Il tutto rimane, ovviamente, sul piano estetico esteriore, se non si analizzano i veri motivi della crisi coniugale di fondo. E uno psicologo può, in casi come questo, essere fondamentale prima di decidere per un intervento estetico, che, se eseguito su una personalità labile da un punto di vista emotivo, potrebbe condurre a peggiorare la condizione psicologica dell’interessato.
Quale allora la linea di demarcazione fra interventi estetici necessari e quelli invece inutili se non dannosi? Se togliamo i casi in cui la chirurgia interviene per ridare dignità a un corpo che l’ha perduta per cause gravi, come incidenti o gravi malattie deturpanti, rimangono gli innumerevoli casi dovuti alla decadenza fisica dell’età, a un naso che non piace, o a rughe troppo evidenti. In tutti questi molteplici casi, la figura dello psicologo , come vuol mostrare la serie tv, può diventare un valido sostegno per una decisione calibrata e consapevole.
ALCUNE INFORMAZIONI DI PSICOLOGIA
Identità, accettazione di sé e modelli di perfezione
Gli studi psicodinamici hanno messo in risalto la centralità delle prime relazioni nella costruzione dell’accettazione del proprio corpo, il rapporto con il cibo oltre che l’importanza e la criticità del ruolo del padre.
Tuttavia la società attuale ha ormai assunto un ruolo fondamentale, proponendo modelli che fino a pochi decenni or sono erano impensabili: tutti noi sappiamo quanto il modello di perfezione proposto dai mass media sia irraggiungibile e siamo anche consapevoli della differenza tra modello e realtà, eppure siamo così incessantemente esposti e bombardati da questi messaggi che una parte di noi è inconsapevolmente convinta che per essere soddisfatti occorre essere accettati da tutti (!) e che per essere così universalmente accettati sia auspicabile avere un involucro, il nostro corpo, che sia gradevole, vale a dire essenzialmente magro e senza difetti.
Non a caso assistiamo ad una crescita esponenziale del ricorso alla chirurgia estetica, anche in età giovanissima e con il pieno appoggio dei genitori, in alcuni casi assistiamo ad una corsa ossessiva alla perfezione. Spesso il ritocco o il sogno del ritocco è anche un modo per andare alla ricerca del proprio vero sé in persone che sentono di non essere pienamente identificate con il proprio corpo.

E’ il “senso di inadeguatezza” (che è anche uno dei criteri diagnostici dei disturbi alimentari): queste persone hanno la continua sensazione che la loro unità mente-corpo così come è non vada bene: non li fa sentire bene dentro alla propria pelle ed inevitabilmente causa anche grossi problemi relazionali con gli altri. Chi soffre di inadeguatezza è costantemente alla ricerca del proprio vero sé, ma anche in un certo senso anche del proprio vero corpo, che non ha modo di esprimersi pienamente.

Queste persone non hanno ancora ben acquisito quel senso di identificazione in sé (la propria identità) che è il risultato dell’adolescenza. In loro qualcosa è rimasto in sospeso, tanto da non riuscire ad accettarsi pienamente (“questo sono io”) oppure, nel caso di adolescenti, la persona esprime tutta la difficoltà del costruire la propria identità separata.

In questi casi, piuttosto che di interventi chirurgici estetici, si tratta di avviare una vera e propria psicoterapia, che abbia l’obiettivo di completare il cammino verso la costruzione dell’identità; ciò significa essenzialmente consapevolezza di sé, degli aspetti più accettabili e di quelli meno, della propria storia, delle proprie rinunce, delle proprie scelte qualsiasi siano state.
La terapia deve però anche tenere conto del fatto che, nel caso delle dismorfofobie, la sofferenza ha oramai preso la via espressiva di un sintomo ben definito: l’unità mente-corpo ha “imparato” a gestire la sofferenza attraverso la fobia di una parte del corpo, vale a dire a “fare finta” che il problema sia quel singolo e definito difetto corporeo. Talvolta un difetto veramente insignificante o minimo agli occhi dei più, è percepito come gigantesco e insopportabile agli occhi del soggetto.

Nessun intervento medico estetico potrà quindi prescindere da una vera e propria rieducazione, perché la persona deve imparare a fare a meno del sintomo e lo farà quando riterrà di poter gestire la propria sofferenza altrimenti. In questi casi l’intervento non rappresenta la soluzione, perché il sintomo finirebbe per essere presto spostato su un altro “pezzo” del corpo.
Chi non ricorda l’infelice Michael Jackson? Un esempio di mostro vagante e insoddisfatto, che nulla aveva più di somigliante a quel corpo originario che aveva sempre rifiutato e nello stesso tempo sempre cercato e rinnovato incessantemente, ma sempre comunque rifatto e rifiutato, in un calvario frustrante e ossessivo.

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